Psicologa e Naturopata Infantile a Torino

La consolazione è un rifugio caldo

Quello del consolare è un atto che ha a che fare sempre con la narrazione personale o con quella altrui. Intrinseca ad esso è la ricerca del significato della sofferenza del cuore che ha bisogno di parole che, come fiammelle vadano amorevolmente ad illuminare la comprensione profonda e autentica. Invece, in questo tempo storico in particolare, mi sembra di osservare, sul web e nella vita reale, quanto la consolazione venga sempre più confusa con atti che deviano da questa come quelli del compiangere, anestetizzare o proiettare. 
Compiangere un cuore che soffre può, talvolta, essere utile per empatizzare con l’afflizione dell’altro, ma in agguato vi è il pericolo di vittimizzarlo. Il dolore va indubbiamente accolto, mai negato o peggio banalizzato, ma la sua esasperazione rischia di congelare sempre più chi sta soffrendo nella posizione di vittima che, per una logica precisa, avrà poi bisogno di un carnefice e di un salvatore per trovare (apparente) soluzione. La vittimizzazione è quel meccanismo per cui, una volta innescato, incastra la persona in un narcisismo sedativo e confortevole che rallenta il cammino verso nuove direzioni. Il vittimismo, quindi, non consola realmente nessuno. 
Anche la narcotizzazione dei cuori, è fortemente presente nella nostra epoca. Si tenta di consolare l’altro, distraendolo. Talvolta, spostare momentaneamente l’attenzione dal dolore aiuta a ritrovare presenza e lucidità, ma far ciò abitualmente porta all’alienazione, è una spinta alla superficialità perché rimandare continuamente i problemi significa solo aggravarli. Ritornano, implacabili, e, spesso, con una sovrattassa: il dilaniante senso di incapacità per non averli ancora affrontati. Anestetizzare anziché consolare, rende la sofferenza sempre più cara.